lettera ricevuta il 13 dicembre 2018

Gentile direttore,
scorrendo su Internet ho letto per caso, in questi giorni, la lettera di una maestra, titolata “Vedo la dissoluzione nei bambini" e pubblicata nel blog di Maurizio Blondet. Devo confessare di averla riletta più volte, tanto mi ha colpito e quasi commosso. Non tanto per la tematica trattata ormai arcinota a chi opera nel mondo della Scuola e non solo, ma soprattutto per la delicatezza, contagiosa, nei toni e la perseveranza negli intenti solo in parte contenuta da un'apparente rassegnazione. Mi permetto di citarne testualmente un passo “Più passa il tempo più la scuola mi sta stringendo sopra la testa come una cella sempre più stretta e non solo per via dei bambini, diventa sempre meno il mio posto ma intanto sono qui e cerco di non impazzire”. La sincerità di tali confessioni, mi piace chiamarle così, non può prescindere da tutti coloro in cui ancora ( per fortuna in questo mondo impazzito ) un barlume di speranza, rischiarando il buio della nostra esistenza, riesce a placarne i tumulti che spingono alla deflagrazione totale . . . Sono un' insegnante in pensione da qualche anno e molti colleghi, non a torto, mi ritengono fortunata per essere ormai fuori da quel mondo che la nostra Giuseppina, mi permetto di chiamarla così, magistralmente ha saputo descrivere. Tuttavia nonostante io sia consapevole delle enormi pressioni a cui gli insegnanti, di ogni ordine e grado, siano quotidianamente sottoposti nell' esercizio della loro funzione, in tutta onestà oggi, non saprei proprio dire se mi ritengo davvero fortunata per essermi allontanata definitivamente da “quel mondo”. Certamente quarant'anni trascorsi nella scuola media, come un tempo si chiamava, mi hanno sì fortificato nella mente e nel cuore ma anche stancato.
Tuttavia mi capita alle volte di ricordare una “confessione” fatta ai miei alunni negli ultimi anni del mio operato scolastico ( e devo dire di essere stata anche molto sincera ), “Ragazzi la cosa che mi duole maggiormente nel lasciarvi è quella di non aver saputo di più per potervi dare di più”. Ho letto nei loro occhi un certo sconcerto iniziale ma poi ho capito che avevano inteso, magari non tutti, quello che io avevo desiderato comunicare. Ancora una volta lo avevo letto nei loro occhi e “Dulcis in fundo” in una letterina che mi avevano consegnato, la conservo con cura, prima che l'anno scolastico, il mio ultimo anno, si concludesse. Una frase in particolare mi aveva lasciato incredula e contenta : “Professoressa la ringraziamo per essere stata severa, perché lei voleva che noi studiassimo con molto impegno e molta forza…” (si trattava di ragazzini di prima media). “Severa” lo ero stata ma poco “tecnologica" e scarsamente “progettuale”. Inoltre sono sempre stata convinta che i ragazzi rimangano, nonostante tutto, immediati nelle loro percezioni mentali. Essi, in virtù della loro condizione, ne intercettano, attraverso le varie forme di comunicazione, i messaggi e la loro “bontà” più di quanto noi adulti siamo disposti ad ammettere. Al contrario siamo noi adulti, in virtù della nostra condizione, ad essere un po' troppo “mediati” o mediatori come dir si voglia.
Certo sappiamo da sempre che la capacità di mediazione è un ricchezza che ci sostiene in molti ambiti della vita personale e sociale, in alcuni ne è la linfa stessa, vedi ad esempio la politica di cui si nutre e si alimenta. Mediazione che tuttavia, ci insegnavano, non doveva mai divenire trasformismo né in politica né fuori da essa poiché, varcando quella soglia, si sarebbe persa la causa ed anche la vita (politica, professionale e morale). Ma stiamo ovviamente parlando di un mondo ormai vetusto e superato, a distanza siderale da quello che ci circonda e nel quale purtroppo siamo immersi, eppure saggio nel suo insieme e condivisibile nella percezione di realtà in cui regole, buon senso e responsabilità divenivano per fanciulli e ragazzi veicolo di autentici messaggi formativi. Un altro mondo, certo, un’altra Scuola distante anni luce da quella attuale: tecnologica, inclusiva, comunicativa, diagnostica, progettuale… la Scuola dalle mille educazioni che non riesce né ad istruire né ad educare.
Che tristezza!
Una Scuola ridotta a curare “pazienti terminali o a lasciali al proprio destino", mentre gli insegnanti e le Istituzioni protesi a “Mettere pezze dovunque e continuamente", inducono alleanze con chiunque nel tentativo disperato (o colpevole?) di nascondere ciò che non può più essere nascosto ed in cui la dignità dell’insegnante ne viene derisa e calpestata. “Si mettono pezze" scivolando in un deteriore trasformismo pedagogico (inconsapevole?), privo di ogni valenza didattica oltre che di coerenza ideale, proiettato verso meri “utili qualunquistici” ed alla negazione dei propri valori… e che comunque non potrà più a lungo continuare. Si è ormai abbondantemente “toccato il fondo", di tempo non ne è rimasto molto e sarebbe proprio ora che coloro che governano i destini della Scuola ne prendessero finalmente atto, in tanti lo hanno fatto, se ci tengono a salvare un mondo che rappresenta ormai “l'ultimo baluardo”… Io dal canto mio sono ormai consapevole, ma non del tutto rassegnata all' idea che il dialogo educativo in classe si sia per me concluso, un dialogo a volte quasi sereno, altre difficile e complicato, magari non sempre costruttivo . Tuttavia non demordo, cerco di tenermi informata e, quando l’ occasione si presenta, di dare qualche consiglio che possa tornare utile alle colleghe più giovani con cui sono ancora in contatto. Ogni tanto mi capita di scrivere due righe su qualche rivista scolastica e non, che mi onora della sua attenzione. A volte mi sorprendo ad essere severa, e non mi spiego con quale diritto, verso chi ritengo possa, volutamente o non, fare del “male" ai ragazzi a causa della sua leggerezza o fragilità, ma raramente mi abbatto e di ciò devo ringraziare qualcuno che dall' alto mi assiste e mi vuole bene.
CETTINA LUPOI

 

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