Non siete voi adulti a tornare a scuola!

L’esame di terza media di quest’anno ha segnato un ritorno alla formula ordinaria dell’esame pre-pandemia, con la reintroduzione delle prove scritte — ma solo quelle di italiano e matematica, non di lingua straniera — e di un colloquio orale, finalizzato a valutare il livello di acquisizione delle conoscenze, competenze e abilità. Ma si può anche valutare la capacità di argomentazione e di collegamento fra le varie discipline grazie alla «tesina»: sebbene non sia citata in nessuna parte dell’ordinanza, la presentazione di una tesina all’orale è fondamentale perché permette di scansare l’interrogazione, parlando di qualcosa su cui si è ben preparati e senza trovarsi a dover affrontare il fuoco incrociato delle domande. Peccato però: non ci si confronta più con un esame vero e proprio, ma l’orale diventa solo un pro-forma. Da quando sono stati aboliti gli esami della seconda elementare (nel 1978) e poi della quinta (cancellato nel 2004 dalla riforma dell’allora ministro Letizia Moratti) è rimasto solo l’esame della terza media: molti anni di studio, passaggi da una scuola all’altra (elementari/medie o come si chiamano ora primarie e secondarie di primo grado), senza doversi confrontare con un esame.

Meglio così? Io penso che l’esame, con la sua carica di ansia, di paura, di scarica adrenalinica e insieme di impegno, di necessità di concentrazione, di indispensabile necessità di darsi delle priorità («No, oggi non vengo a giocare, tra due giorni ho l’esame!»), rappresenti una grande occasione di mettersi in gioco, di dimostrare cosa si è capaci di fare. I ragazzi sentono che stanno facendo qualcosa di importante: ogni esame segna un passaggio, la svolta tra una scuola «da piccoli» e una scuola «da grandi», cui possono accedere solo coloro che hanno affrontato la fossa dei leoni della commissione d’esame!

Ci si abituava gradualmente ad affrontare gli esami, nel percorso scolastico, con una certa cadenza e regolarità: un’abilità che si apprende e permetteva di smitizzare un po’ l’ansia. Certo che c’è pathos in tutti gli esami, ma questi sono sempre stati commisurati all’età e quindi al livello di preparazione: non credo che ci fosse la sofferenza che c’è oggi, in cui l’ansia da prestazione arriva a tali livelli da sfociare in sempre più frequenti crisi di panico adolescenziali. In terza media è il momento della svolta: le strade si dividono, si prenderanno licei e indirizzi diversi, ci si orienta sulle ambizioni future (forse…) e quindi è il momento di fare il primo vero esame! Ma è così, è un vero esame? Quanto si è «preparati» sulla tesina? L’hanno fatto i ragazzi, con impegno… o i genitori? L’ansia da prestazione dei genitori fa sì che si intromettano con una sorta di iper protettività: riscritte, reimpostate o addirittura fatte di sana pianta («Se io penso alla tesina lui si concentra sul resto»), a volte con i sensi di colpa («Non riesco a seguirlo nei compiti, almeno a quello ci penso io»), a volte anche per ottenere voti migliori, per la voglia di eccellere.

La tesina più chiacchierata, caso lanciato dai tabloid inglesi, è stata quella presentata anni fa dal primogenito di casa Blair: una ricerca sul nucleare, fatta da ben tre dirigenti ministeriali… chissà che voto avrà preso il giovane Blair!

Ma per il ragazzo è un bene o un male che si intromettano i genitori? I compiti a casa, lo studio individuale, aiutano a confrontarsi con la dimensione del «dovere», fanno imparare la fatica e sviluppano la capacità di organizzarsi.

Quali possono essere gli effetti collaterali di un genitore che ogni giorno si siede accanto ai figli mentre fanno i compiti e li corregge, studia con loro le lezioni, o realizza la tesina al posto loro? In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio la «battaglia» da affrontare in prima persona: l’intromissione dei genitori crea una pericolosa dipendenza che fa credere al ragazzo di non potercela fare da solo, di non essere in grado. Questi comportamenti annientano il livello di autonomia e autostima dei ragazzi perché non gli consentono di sperimentarsi: solo prendendo coscienza dei propri limiti impareranno a conoscersi e si sentiranno all’altezza della realtà circostante.

Certo i figli vanno aiutati a diventare autonomi, con gradualità, responsabilizzandoli, ma senza privarli del piacere di fare da soli, sostituendosi, perché la soddisfazione e la gratificazione di avercela fatta sono una molla per l’autostima, che influisce sulla costruzione della personalità.

I genitori devono sostenerli, essere presenti, ma non sono loro a tornare tra i banchi di scuola!

Con la sua carica di ansia, paura e adrenalina, con la necessità di impegno e di darsi priorità, l’esame è una grande occasione per i ragazzi che sentono di fare qualcosa di importante

Paolo Sarti

pubblicato su "Corriere Fiorentino" il 17 giugno 2022

 

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